SULL’OMOSESSUALITA’…
Con il termine orientamento sessuale si indica l’attrazione emozionale, romantica e/o sessuale di una persona verso individui del sesso opposto (eterosessualità), dello stesso sesso (omosessualità) o di entrambi (bisessualità). Ciò premesso, l’omosessualità viene definita come “una variante naturale (e normale) del comportamento sessuale umano”.
Lo afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità che il 17 Maggio del 1990 ha depennato definitivamente l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. L’APA (American Psychiatric Association) nel 1987 aveva già eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali del DSM.
Ma nonostante i numerosi passi in avanti in campo medico-scientifico e psicologico, purtroppo, esiste ancora la tendenza comune a considerare l’omosessualità come una “creazione” prettamente moderna, come una moda o come il risultato inevitabile di una condizione di dissolutezza della società attuale e di un progressivo declino dei valori tradizionali e universali. L’omosessualità infatti viene spesso ritenuta un viraggio anormale e patologico del normale orientamento sessuale, come figlia della trasgressione e della perversione. Ignoranza, paura e pregiudizio sono duri a morire e portano con sé stigma e odio.
Oggi, alla luce delle più recenti scoperte in campo medico-scientifico, si tende ad attribuire all’omosessualità una complessa eziologia multifattoriale che comprende influenze ambientali e sociali, influenze psicologiche, influenze genetiche e ormonali. Un numero consistente di ricerche indica che i fattori genetici giocano un ruolo importante nel determinare l’orientamento sessuale.
Quindi l’orientamento affettivo-sessuale non è una scelta, non è una moda, non è un peccato, non è una perversione, non è modificabile volontariamente. E questo vale per qualunque tipo di orientamento.
NON SOLO (H)OMOSESSUALITA’
Chi ancora si nutre del pensiero pregiudizievole secondo cui l’omosessualità è anormale perché non esiste in natura sicuramente ignora il fatto che se ne hanno addirittura testimonianze nel mondo animale. L’omosessualità negli animali si riferisce alla documentata evidenza di un comportamento omosessuale o bisessuale negli animali non-umani. Tali comportamenti includono rapporti sessuali, corte, affetto, accoppiamento e omogenitorialità. Ad esempio, una ricerca del 1999 di Bruce Bagemihl ha dimostrato che il comportamento omosessuale è scientificamente documentato in almeno 450 specie fra cui insetti, lucertole, polpi, uccelli e mammiferi (in particolare delfini, foche, cervi, pecore e scimmie antropomorfe).
Benché non si siano ancora trovate spiegazioni del tutto convincenti su ciò, sembra che i comportamenti omosessuali nel mondo animale, e soprattutto la conservazione filogenetica di questa modalità, comportino un qualche vantaggio in termini evolutivi.
Posizione questa che sembra non conciliarsi con l’ipotesi darwiniana secondo cui l’evoluzione premia chi è maggiormente adatto a riprodursi e a trasmettere i propri geni alle generazioni future.
SI PUO’ GUARIRE DALL’OMOSESSUALITÀ? FACCIAMO CHIAREZZA
Storicamente, dai tempi più antichi fino a quasi tutto il XX secolo, in particolare con l’avvento del paradigma della medicalizzazione proprio della psichiatria moderna, l’omosessualità è stata a tutti gli effetti considerata una condizione patologica da curare.
Si pensi ad esempio che nel Medioevo era una pratica punita con la pena di morte (e ancora oggi in alcuni paesi del mondo islamico accade ciò…).
L’atteggiamento socio-culturale eterosessista, il pregiudizio omofobico e la discriminazione nei confronti degli omosessuali hanno a lungo alimentato anche le credenze dei professionisti della salute circa la possibilità di guarire da questa “tendenza”.

Ph: Altin Ferreira on Unsplash
Joseph Nicolosi, scomparso nel 2017, considerato il padre delle “terapie riparative”, ad esempio proponeva interventi fondati su preghiere collettive, counselling pastorali e tecniche discutibili (anche se sicuramente meno invasive rispetto a quelle utilizzate in passato come la castrazione, l’elettroshock ai genitali, la suggestione ipnotica, terapie aversive o utilizzo di farmaci). Tra gli scenari più agghiaccianti vi sono i cosiddetti “campi di rieducazione per adolescenti”, nei quali ragazzi e ragazze omosessuali vengono condotti con il consenso dei genitori e sottoposti a durissimi, inutili e dannosi regimi terapeutici, che spesso hanno come esito anche il suicidio.
Sono ben noti i rischi potenziali di tali trattamenti: tra gli altri, depressione, ansia, ritiro sociale, comportamento auto-distruttivo.
È bene ricordare che le maggiori organizzazioni mondiali per la salute hanno già da tempo fermamente dichiarato che l’omosessualità e la bisessualità non sono malattie mentali.
Gli studi in letteratura che sostengono il contrario sono gravemente carenti dal punto di vista epistemologico e metodologico e quindi assolutamente NON ATTENDIBILI.
Gli sforzi e i tentativi di modificare e “riconvertire” l’orientamento sessuale ad opera di sedicenti psicologi o psicoterapeuti (in genere facenti parte di movimenti politico-religiosi fondamentalisti) sono vani, insensati e pericolosi.
Pertanto tutte quelle che vengono definite “terapie riparative” (o di riconversione) sono pratiche infondate, ascientifiche e inefficaci, nonché deontologicamente segnalabili e perseguibili (art. 3-4-5 c.d.).
“Tali terapie si fondano su falsi presupposti circa lo sviluppo infantile, strettamente legati allo stigma antiomosessuale. Questi psicologi della riparazione ritengono infatti che la vita di una persona omosessuale sia stata segnata da un trauma o da una genitorialità inadeguata, da cui deriverebbe una carenza di mascolinità nell’uomo gay e di femminilità nella donna lesbica. E così, le terapie riparative mirano a “rimettere le cose al loro posto”, incentivando stereotipati atteggiamenti maschili nei gay e femminili nelle lesbiche. I fautori delle terapie riparative vantano una percentuale di successo che dichiarano intorno al 30% dei soggetti trattati. Quello che viene omesso è la natura di tale successo: una reale conversione dell’orientamento o una repressione del comportamento omosessuale, ottenuta rinforzando difese disadattive come la negazione e la dissociazione?” (Lingiardi, 2007).
Nel 2013 anche il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha rilasciato un comunicato stampa in cui afferma che:
“Gli psicologi, secondo il Codice Deontologico, non possono prestarsi ad alcuna “terapia riparativa” dell’orientamento sessuale di una persona, bensì collaborare con i propri pazienti nel caso di disagi relativi alla sfera sessuale siano essi avvertiti dagli eterosessuali così come dagli omosessuali.”
Leggi il comunicato stampa integrale rilasciato dal CNOP qui.
A CHE PUNTO SIAMO OGGI?
Superato il dibattito scientifico-filosofico che per secoli ha tenuto impegnati gli studiosi sulla rappresentazione sociale dell’omosessualità e sulla dicotomia perversione/malattia, oggi la discussione sul tema dell’omosessualità si sposta per lo più sul piano delle cifre e dei diritti.
Una recente indagine Istat ha stimato che nel nostro paese circa un milione di soggetti intervistati si è dichiarato omosessuale o bisessuale. Altri due milioni hanno dichiarato di aver sperimentato nella propria vita l’innamoramento o rapporti sessuali o attrazione sessuale nei confronti di persone dello stesso sesso. Questo dato tuttavia rischia di essere fortemente sottostimato a causa dei timori che persistono ancora oggi nel fare coming out e dichiararsi apertamente omosessuali, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Se è ancora difficile fare una stima esatta della reale diffusione dell’omosessualità nella società contemporanea, quella che sicuramente si può tracciare è una carta dell’accettazione, della tolleranza e dei diritti umani.

Mappa: Rosemary Wardley e Ryan Williams, NG Staff Fonte: Aengus Carroll, International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association
L’Italia, insieme ai paesi dell’ex blocco sovietico, si attesta fra le nazioni che meno garantiscono pari diritti alle persone omosessuali.
Assai diversa è la situazione in altre parti del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, tutti i stati membri hanno concesso il diritto al matrimonio e quasi tutti hanno concesso il diritto all’adozione. Risale al Giugno 2015 la sentenza storica della Corte Suprema che ha stabilito che il matrimonio è un diritto di tutti rendendo incostituzionale tutte le leggi statali che vietano il matrimonio gay. Di contro invece, in Medio Oriente, e in generale nei paesi di fede islamica, l’omosessualità è condannata dall’ideologia politico-religiosa perché non consentita dalla Shari’a e quindi legalmente perseguibile, anche con la pena di morte.
Recentemente in Italia, grazie alla legge n. 76 sulla Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, meglio conosciuta come legge Cirinnà, è stato fatto un piccolo passo avanti verso il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali. Ma tuttavia questo non basta. Lo dimostra il fatto che, ad oggi, nel nostro paese non esiste una legge specifica che punisca il reato di discriminazione e istigazione all’odio e alla violenza omofobica (il decreto di legge Scalfarotto fermo in Senato dal 2013…).
Il mondo LGBTQ deve ancora oggi disperatamente destreggiarsi fra vuoti legislativi, spinte di riconoscimento, istanze politiche, religiose, socio-culturali e lotta al pregiudizio e alla discriminazione.
Nel territorio italiano ci sono numerosissime associazioni e organizzazioni di supporto al mondo LGBTQ.
Arcigay è la principale associazione LGBTI italiana senza scopo di lucro e la più grande per numero di volontari e attivisti. Opera su tutto il territorio nazionale attraverso i suoi 67 comitati territoriali e associazioni aderenti. Visita il sito.
La sede del Comitato Provinciale di Arezzo Arcigay “Chimera Arcobaleno” si trova in Via Garibaldi 135. Visita il sito.
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